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Cristalli mediatici.

Giornalisti infreddoliti tra cumuli di neve con il consueto presepe di presenzialisti alle spalle. Collegamenti in diretta con le centrali operative delle italiche Autostrade per diffondere notizie rassicuranti sulla pulizia delle nere striscie di bitume. Ondate, morse, gelo, fiocchi, paesi isolati, ordinanze, Protezione Civile, mezzi sgombraneve, maltempo, emergenza, Vigili del Fuoco, famiglie evacuate, rischio crolli, siberia italiana, scuole chiuse, soccorso, disagi per la circolazione, allerta meteo, mezzi pesanti, spargisale, morti. Certo, morti. Perchè i defunti forniscono un pizzico di pepe alle “niùs“.  Cittadini còlti da infarto mentre spalano la neve. Che probabilmente sarebbero morti uguale se il malore fosse sopravvenuto vangando l’orto o cambiando una gomma bucata. Al riguardo, i giornalisti nostrani si stanno interrogando se attribuire alla neve il tragico trapasso di una povera vecchina.  Morta di crepacuore per il dispiacere dopo aver bruciato nel forno la torta di mele preparata per la figlia, giunta un’ora dopo del previsto a causa del ritardo del marito,  intrattenutosi per strada a sorseggiare un grappino con un amico volontario, impegnato a raggiungere un paese vicino per sconguirare che restasse isolato in previsione delle forti bufere di neve. Per arricchire il dibattito a riguardo, il Garolfo è tentato di ricercare la voce “nesso di causalità” sul vestusto manuale di diritto penale.

Il tutto in attesa delle ben più abituali emergenze agostane. Condite con le più familiari immagini dei turisti che si abbevarano alle fontanelle romane e degli anziani che deambulano smanicati e malfermi in vie deserte con le borse della spesa o si procurano un pò di sollazzo utilizzando il giornale a mò di ventaglio.

Picchi.

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Il Garolfo si chiude la portiera del ranocchio alle spalle e si inerpica lasciandosi alle spalle la Civiltà, china sulla propria giornata lavorativa. La neve crocchia asciutta e ghiacciata sotto le racchette; i raggi sgomitano tra i rami di alberi sempre più radi. Nuvole in quantità pari al numero di piani tariffari convenienti nella telefonia mobile. Caviglie che bruciano piacevolmente di fatica. Nel fagotto la solita arancia ed il solito panino. Un quotidiano come antidoto (estrema ratio) alla astinenza da caos cosmico. Il sudore è implacabilmente catturato dalla maglietta tecnica aderente, quella con la tartaruga (solo dipinta), che nonpareneppuredifarefatica. Una sosta: “no, dopo quella roccia”. Una pausa: “no, dopo l’arbusto”. Una rapido pit stop: “no, dopo il cartello segnaletico bianco rosso e nero”. Time out: questa volta non c’è scampo. Solo perché il Garo ha raggiunto la cima; e perché i il tè ustionante e poco dolce trangugiato lungo la salita, da qualche parte deve pure andare a finire. Stato dei luoghi: trecentosessanta gradi di cielo e monti come pandori con lo zucchero a velo sopra. Solo qualcuno in più del tè. Presenze umane: non segnalate. Sensazione prevalente: vantare il diritto di proprietà sul Globo. Il Nostro pensa, sorridendo, al primo bacio e alla prima volta. Nulla di paragonabile. Per i successivi, forse, si può discutere. Due passi oltre, non prima di aver studiato una ad una le freccette metalliche con i nomi delle cime, delle valli, dei laghi, un must di etica montana:“Please bring your garbages back down”. E accanto:“Si avvisano gli alpinisti che il rifugio rimane aperto tutti i giorni festivi e prefestivi escluso il mese di novembre. Il gestore Roberto ciao ciao”. Il Garolfo ringrazia intimamente il Roberto: no Gestore, no People. Il tributo all’assenza si fa meno convinto alla lettura del cartello appiccicato sulla porta bianca e blu, indubitabilmente chiusa. “Le grappe del Roberto. Pernottamento. Ristoro. Polenta e musica. Panini imbottiti. Piatto freddo malga. Weissbier. Brulè alla mela. Tè. Caffèlatte“. Per oggi l’imperativo è quello di accontentarsi di un sole e di una neve memorabili e del panino (con retrogusto di arancia). Che non è poco. Nonché di una comoda sedia a sdraio gentilmente resa disponibile da Roberto, a sua insaputa.

Anche questa volta il Garolfo, al rientro, distilla i consueti pensieri. Uno: quanto il sentiero sembri più lungo in discesa e (due) quanti voti in più avrebbe potuto accaparrarsi nei compiti in classe di italiano se avesse fatto uso qualche volta di una locuzione conclusiva diversa dalla solita “stanchi ma felici facemmo ritorno a casa“. Il fido ranocchio si staglia all’orizzonte ormai bruno. La Civiltà attende avida il ritorno del figliuol prodigo. Stasera, però, niente vitelli grassi. Perché il colesterolo va tenuto sotto controllo: con una vita sana e, al più, con una fettina di tacchino ai ferri, con foglia di lattuga.