Archivi del mese: novembre 2009

Domotica.

Nonna Zita è appena rientrata dalla parrucchiera la quale, come da prassi, le ha lisciato a dovere i capelli turchini. Si dirige verso la cucina, accende il gas  e ripone il tegame con la minestra d’orzo a riscaldare per il pranzo. Pur essendo duretta d’orecchio, ode armeggiare oltre l’uscio. Un rumore fragoroso e un losco figuro le si para innanzi, brandendo minacciosamente un oggetto che a prima vista potrebbe assomigliare ad un’arma impropria. “Vecchia, caccia il grano o ti spedisco (poc) anzitempo al Creatore”. “Mi scusi, non capisco, potrebbe esprimersi in modo più comprensibile?” “Vecchia stordita, caccia il grano o ti faccio fuori”. “Grano? Ma quale grano!”. E’ orzo, nel minestrone si mette l’orzo!” “Il gusto si fa inconfondibile!” “Con il grano si fa la farina”. “Certo, se la minestra non è densa a sufficienza, allora si può mettere un po di farina, è quello che intende?”. L’ospite, da bianco che era,  si fa scuro in volto. Comincia a urlare, sudare copiosamente e a far roteare l’oggetto che stringe nella mano destra. “Oddio, che succede, signore, si sente male?”. E’ in questo momento che “nonna Zì” si ricorda del regalo del figlio Ermenegildo. “Mamma, ecco. Questo è il TeleSalvaLavita”.  L’ottuagenaria lo porta al collo da una quindicina d’anni, assieme al crocifisso del fu marito, quasi fosse un amuleto. Preme il pulsantino rosso ed improvvisamente si spegne il televisore (e con esso la piazza del sig. Magalli). Si aziona il Teddy Bear tecnologico del nipotino, si chiudono le persiane, si accendono forno a microonde, lavatrice e lavapiatti.  L’ospite, atterrito, oltrepassa nuovamente il limite dell’uscio precipitandosi a scavezzacollo per le scale, quindi fuori, nel giardino condominiale e via, oltre la guardiola del portiere, ad invocare a squarciagola un esorcista (di quelli bravi, mica uno qualunque…).  Nonna Zita spegne il gas sotto la minestra d’orzo, perché sennò attacca.  Impugna il suo palmare WiFi e chiama l’ormai cinquantacinquenne Ermenegildo. “Ciao, Ermè. Come stanno Luigino ed Annuccia?” “A proposito.  Sai mica se negli ultimi anni  il Ministero ha riallocato qualche banda di frequenza?”

Nonna "Zì" e il suo gingillo.

Dopo aver salvato decine di nonnine da sincopi fatali.  Dopo aver  illuminato le idee di molti uomini cinti da fascia tricolore, con il Palo della Luce . Dopo aver tutelato l’incolumità di schiere di adolescenti neopatentate assalite da bruti in luoghi isolati. Dopo aver evitato centinaia di migliaia di bernoccoli in caso di black out. Ecco che il signor Beghelli propone il Tetto d’oro. Sotto il quale gli interruttori sputano monete sonanti. Ove l’operaio che ha appena completato l’installazione di pannelli fotovoltaici, con caschetto aziendale giallo piantato nell’ovale, rifiuta categorico l’apertura del portafoglio del committente, padre di famiglia.

Il Garolfo ne ha tratto così spunto per convincere il proprio idraulico di fiducia ad aderire all’iniziativa “Tazza d’oro”. Quindi, niente apertura della bisaccia per saldare il conto.  Risultato: ecchimosi su buona parte della pelliccia e decreto ingiuntivo notificato dall’Ufficiale Giudiziario. Nulla da eccepire. Di Signor Beghelli ce n’è uno. Uno soltanto.

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Pause.

La suoneria del pataccone nero appoggiato sul tavolo ridonda violenta nella sala silenziosa e il legittimo proprietario armeggia pigiando qualche tasto. Maglione blu, capello arruffato, pelle olivastra, dopo aver zittito il gingillo elettronico  si alza e coglie dallo scaffale un libro. Sfoglia cinque o sei pagine con il medesimo sguardo con cui una scimmia sbuccia una banana. Indi  si ricolloca al proprio posto e con la bocca semi aperta e gli auricolari insinuati nel cranio torna a fissare il laptop adagiato sul tavolo.

Inequivocabili segnali che per il Garo è quantomai opportuno un meritato intermezzo. Scende le scale e si infila nella buvette per godersi il meritato caffè al banco di metà mattina. A fargli compagnia giungono cinque signori allampanati di giovane età. Completi grigi e neri stirati da un ingegnere meccanico, camicie inamidate  che sostengono fisici longilinei (ma, al contrario del cervello, sicuramente poco tonici). Scarpe con punta quadra carenate di rumoroso cuoio e verniciate di nero.   Soprabito giallo cammello sottobraccio. Capello corto e ben curato. Il Garolfo nota come la produzione in serie, fino a poco tempo fa, fosse circoscritta ad automobili, elettrodomestici e poco altro. Ma è noto: il mercato evolve.  “Espresso macchiato caldo, caffè normale, orzo in tazza piccola, decaffeinato bollente con poca schiuma macchiato freddo, americano tiepido in tazza grande”. “Un cornetto alla crema, uno al cioccolato e uno vuoto”. Il Nostro, con l’immancabile traccia della pausa sul naso, osserva come la barista con i capelli raccolti alla Pocahontas, non si scomponga minimamente nel ricordare le complesse ordinazioni e nel servire professionalmente gli illustri clienti (che non la degnano di uno sguardo). Pagano e si allontanano immersi in alte dissertazioni professionali. Anche il Garo fornisce il corrispettivo della consumazione (e saluta).  Salendo le scale, ardentemente atteso dal primate antropomorfo vicino di tavolo, pensa come nella propria vita non si cimenterà mai in almeno un paio di esperienze professionali. Il barista e l’analista finanziario. Meglio un bel posticino da impiegato ministeriale o la carriera nella suprema assemblea elettiva di Piazza Montecitorio. Tra il resto, Roma, è una gran bella città. Ragione per la quale, è quantomai opportuno ricominciare a studiare. Cita permettendo.