Il Garolfo sfoglia distrattamente il suo quotidiano rosa sbiadito. Non quello che racconta della saudade di Adriano e delle prodezze pedatorie di Del Piero. Quello di Emma, serio e impegnato, che promette la luce naturale anche di notte. Sobbalza sulla sedia quando riconosce, a pagina nove, l’orgoglioso profilo di Giovanni. Il Garo decide, così, di raccontare, in questa sede, la sua storia.

Il "giornale al mese" di Giovanni
Giovanni è un padre di famiglia, quattro figli e una moglie premurosa. Come tutte le mattine, all’alba, si trova incolonnato al casello. Di mestiere è impiegato. L’autoradio è sintonizzata sul Secondo Canale di Stato e una voce stridula disserta di segni zodiacali, ascendenti e altre vacue amenità; l’alberello magico alla vaniglia ondeggia allegro, sollecitato dagli sbuffi di aria calda sputati dal cruscotto. Il protagonista già pensa agli strali del suo capo di cento chili a causa dell’ennesimo, ineluttabile ritardo. Alla propria destra, nella corsia blu, sfrecciano autoarticolati, torpedoni, furgoncini, multispazio, fuoristrada, SUV, berline di lusso e utilitarie: ogni mezzo oltrepassa la frontiera metallica che lo separa dalla libertà, senza il minimo accenno a fermarsi o rallentare. Giovanni pensa così a come sarebbe bello e utile possedere il passepartout per questa emancipazione indolore. L’ambitissima saponetta, quella grigia con la striscia e la scritta gialla. In fondo “costa proprio poco: solamente un quotidiano in meno (e qualche spicciolo), una sola domenica al mese”. Riflette sul fatto che con tale modesto, insignificante investimento, potrebbe rendere il mondo migliore. Donare felicità alle Autostrade, consentendo loro di ridurre il personale addetto alla esazione del pedaggio e destinarlo a rammendare le buche. Permettendo loro di essere un poco più rapide nel portare a destinazione i viaggiatori, con evidenti vantaggi in termini di immagine, per bacco. Ridurre l’inquinamento causato dalle code; evitare che un Giovanni qualsiasi, ancora addormentato, giochi a rimpiattino con la vettura che precede, ferma in attesa di allungare le monetine al casellante o ritirare il biglietto (che si annuncia a mò di linguaccia). Permettere agli autisti di starsene comodamente seduti al caldo dell’abitacolo, risparmiando sul riscaldamento (o sul condizionatore) ed evitando correnti d’aria, potenzialmente letali per la cervicale. In sintesi: soldini ben investiti. Rispettivamente in economia, celerità dei trasporti, marketing, ecologia, sicurezza stradale, risparmio energetico, tutela della salute pubblica.

Il profilo fiero di Giovanni.
Il nostro padre automobilista si persuade, in prima battuta, del fatto che nel Paese del Tricolore, sia assolutamente normale pagare il costo del bollettino postale per pagare il bollo della Vespa; pagare il commercialista per farsi scrivere su un modello in cartoncino quanto pagare di imposte e tasse. Pagare il posteggiatore abusivo per pagare, in tranquillità, il ticket della sosta. Quindi, perché non dovrebbe essere normale pagare alle Autostrade un euro e ventiquattro cent al mese per pagare il pedaggio, che è pure senza maggiorazioni ? (Da lucciconi agli occhi per la gratitudine N.d.G.).
Tuttavia, qualcosa ancora non lo convince; indugia con il pensiero guardando, assente, l’astina del tachimetro adagiata sullo zero. Pensa alla tecnologia, che dovrebbe essere al servizio del portafogli. Medita sul fatto che anche le banche (notoriamente neppure lontane partenti di S.Francesco), concedono lo sconto per le operazioni in rete; che le assicurazioni online (neppure loro ascendenti in linea retta del Santo di Assisi), sono più economiche di quelle tradizionali; che affidare la propria quattroruote all’addetto, costa di più che inserire il gettone in un lavaggio automatico e dilettarsi, da soli, con la lancia dell’acqua; che una email di lavoro è meno cara (e più celere) di una letterina di carta; che il caffè della macchinetta è doppiamente parsimonioso rispetto a quello sorseggiato al banco. Perfino la benzina al Faidate si paga a peso d’oro, anziché di platino…

La guida sicura di Giovanni.
D’improvviso Giovanni ritorna in sé e distingue nitidamente il rumore, sempre più assordante, di decine di clacson dalle tonalità più svariate, i cui decibel filtrano violenti dal lunotto. Oltre il parabrezza solo asfalto. In lontananza, un omino tarchiato con giacca a vento arancione si affaccia da un casotto in acciaio schiumando rabbia. Si sbraccia disperato facendo cenno con ampi movimenti degli arti superiori di avanzare, indicando, a fasi alterne, un semaforo, posto in alto, che proietta una luce verde vivo. Un marcantonio picchietta con veemenza con il dito sul finestrino. Giacca a vento blu, pantaloni a sbuffo azzurri con doppie righe viola. Sinistri stivaloni in pelle fino al ginocchio chiusi da possenti fibbie, gelosi custodi di una paletta rossa e bianca recante l’effigie della Repubblica. Saluto alla visiera. “Mi può seguire con la Sua autovettura, per cortesia?”
Questa è la storia di Giovanni, impiegato. Oggi sfreccia a sessanta km/h con la sua auto in leasing sulla corsia azzurra, lanciando occhiate cariche di altera e sprezzante commiserazione verso la fila di auto immobili alla sua sinistra. Accanto allo specchietto retrovisore fa bella mostra di sé l’oggetto del desiderio. Affinché non accada più di trascorrere un’intera mattinata presso la caserma della Polizia Stradale ad esibire documenti e sottoscrivere verbali. “Perché, come scritto a chiare lettere sulle pagine rosa, prendere il Telepass costa davvero poco, è facile e senza maggiorazioni sul pedaggio, ti fa risparmiare tempo” (quanto al denaro, il dibattito è aperto…).
Giovanni. Impiegato e testimonial. Uno di noi.