Archivi del mese: gennaio 2023

Alberi.

Il Garolfo, con lo zaino arancio in spalla, incede tra i solchi profondi lasciati dalle ruote spesse e dure dei trattori dal braccio lungo, che ne hanno ghermito le spoglie. All’orizzonte, una brulla steppa che fu di abeti e larici, punteggiata da radici divelte dalla loro terra. Poi, sul versante più riparato del Monte, eccoli riapparire. A volte radi, a volte fitti. L’hanno chiamata con un nome docile e musicale. Vaia. Quella furia improvvisa e cinica che ne ha fatti volare a milioni. Come stuzzichini, come tesserine di un domino effimero, come bicchieri di carta vuoti sul tavolo del parco, dopo la festa di compleanno della piccola Linda. Migliaia di ettari di bosco tosati, in un pugno di ore. Il Nostro si siede su un ceppo e osserva i Fratelli rimasti. Alcuni di loro giacciono in piedi. Come mummificati. Di un color marrone morte. Perché, poi, capita che piova sul bagnato. O che un delinquente bastoni il cane che sta per affogare. E, così, con il bosco. Accade, quindi, che molti sopravvissuti alle raffiche, per loro fortuna, tenacia (o resilienza, che va tanto di moda), siano divorati sottopelle dal coleottero col nome simile a quello della Colla Universale. Sarebbero da estirpare tutti per contenere il contagio, dicono. Ma non si può, perché i versanti ‘verrebbero giù’. E, allora, tanti di loro, sono lasciatati là, quasi a monito.

Il Garo si attacca alla sua borraccia e li osserva. Confidando nella capacità ultima e straordinaria della natura, di rigenerarsi. Nonostante. Nella speranza che l’Uomo, per sussulto autoconservativo, con responsabilità, visione e un minimo d’amor proprio, inverta la rotta. Senza troppi pretesti, proclami. E molto, molto presto.

Liberi.

Il Garolfo osserva ammirato gli spot televisivi delle macchine. Che percorrono con autorevolezza strade deserte, viscide, libere da umanità, da riferimenti sociali, da ostacoli di qualsivoglia natura e genesi. Le uniche comparse umane ammesse, sono i conducenti e gli spettatori forzatamente incantati dal transito regale di tali meraviglie della tecnica, dotate di livree brillanti e musi cattivi. Che solcano battigie, guadano fiumi, attraversano boschi, calcano ghiacci, scivolano in ambienti urbani abbandonati dalla civiltà. Fondendosi idealmente con la natura che le sospinge fino (e oltre) il limite. Favole a video che creano un’illusione di libertà illimitata, che non si deve prendere cura, che non è tenuta a condividere lo spazio, a prestare attenzione. Il possesso di un’auto sportiva (a bordo della quale la guida non può che essere sportiva), legittima a fare ogni cosa (in teoria), senza nuocere. Con buona pace della percezione realistica del rischio nel governare una cosa che può fare male. Auto che ‘ampliano gli orizzonti’ (tipo le volte annerite dallo smog delle gallerie o i solai scrostati dei viadotti, ammirabili da mirabolanti ‘tettucci panoramici’). Che ‘liberano da schemi e status symbol’. Dove non vorrai mica insinuare che lo ‘schema’ sia il Codice della Strada. Scatole di lamiera che prendono il nome degli stessi passi dolomitici che hanno deformato a loro immagine. Cose che ‘il progresso si misura in emozioni’ dove il bolide basso scende lungo i tornanti innevati di monti meravigliosi, a velocità invereconda. ‘Queste non sono condizioni difficili, non esistono’. ‘Questo è ghiaccio, e quindi?’ ‘La ricerca della libertà, ci ha portati qui’. ‘Elettrifica i tuoi sogni’.

Insomma. Per certo marketing, guidare è un gioco, una sfida agli schemi, un andare oltre. Ma, in caso di ‘game over’ non è sempre detto che si possa ricominciare da capo.

P.S. 1. I virgolettati sono alcuni riferimenti a spot televisivi di automobili, riportati fedelmente.

P.S. 2. La lotta alla violenza stradale non può non partire anche dall’analisi di modelli comunicativi distorsivi della realtà e potenzialmente molto dannosi.