Archivi del mese: gennaio 2008

Chi ben comincia.

Non depositare le posate “a barchetta” nel piatto terminati i pasti. Recarsi tutti i lunedì al supermarket delle tre consonanti per accaparrarsi l’offerta ampiamente reclamizzata negli spot domenicali, tra un viaggio a Capoverde e l’ennesima intervista all’ennesimo calciatore (che dovrebbe umilmente accontentarsi dell’esercizio dell’arte pedatoria). Estirparsi dal letto in tempo utile per depositare il pigiama in un luogo diverso dal bidet (oue, viv la France!!). Essere accomodante con l’operatrice del call center che propone tariffe algoritmiche a costo zero. Versare il canone annuale della grigia saponetta autostradale pensando che in fondo, pagare per pagare, ha il suo fascino. Osservare con sguardo caritatevole e comprensivo la signora dai capelli turchini che si infila spintonante nel tornello del grande magazzino (tanto, poverina, è anziana). Non sprofondare l’indice destro fino alla seconda falange nell’impasto della torta giornoenotte.

Questi i propositi del “Garo” per l’anno testè iniziato. Ognuno con il destino ampiamente segnato. Come quelli del lunedì. Con la differenza che, fortunatamente, questi turbano il sonno solo per un paio di notti dopo l’oblìo delle luminarie.

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Avanti un altro.

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Il Garolfo socchiude timidamente gli occhi, li strofina per bene. Da lontano giungono, attutite, delle note non ignote. Tutto era già scritto. Si trascina, pigro e semincosciente, unito a buona parte delle coperte, fino allo schermo, che proietta l’interno di uno sciccoso teatro . Signori infracchettati e rispettive consorti avvolte come delle valdostane in pellicce che un tempo appartennero ai più svariati tipi di fauna, applaudono in piedi al ritmo della Marcia di Radetzky. Atmosfera già vissuta. Qualche minuto dopo, un giornalista mezzobusto si presenta augurando buon anno con voce pastosa, pseudo sorriso ebete, occhi piccoli e borsoni trolley sotto. Lancia in carrellata le immagini di Time Square, della Piazza Rossa, della Tour, del Colosseo, del Big Ben, della piazza Tien An Men (che a breve ci saranno le olimpiadi, perbacco), del centro di Auckland, i cui abitanti hanno già ampiamente digerito il cenone e si accingono a consumarne gli avanzi. Tema: il medesimo. Tanto rumore, nebbiolina biancastra, cascate pluricromatiche di luci, grandi e piccini ebbri di gaudio e di bacco. Sulle immagini niente etichetta con la data di confezionamento, l’unica garanzia di freschezza del prodotto è la presunta l’onestà intellettual-deontologica del cronista di turno. Protagoniste sono poi a seguire le autolettighe che si cimentano in impegnativi slalom attraverso una cortina di fumo, tra centinaia di reperti bellici, per infilarsi infine nei prontosoccorso dalle insegne tipo bar annisettanta illuminati da algide luci al neon. Eroi ultrasessantacinquenni che si gettano per festeggiare, nudi come vermi, nelle acque antartiche del fiumiciattolo o del laghetto del fuori porta accanto, prenotandosi di fatto un letto per un mese filato nel corridoio di geriatria, secondo piano. Stesso nosocomio, qualche piano sopra, protagoniste sono le madri spossate, a letto, per dare una sbirciatina agli studi statistico-scientifici sull’ultima e sulla prima creatura che, loro malgrado, sono venute alla luce. C’è anche il Ministro di turno che fa visita agli instancabili (e rigorosamente estratti a sorte) operatori delle centrali operative. Si chiude con le bandiere a fianco del Presidente della Repubblica, con l’immancabile flashback a base di fiaccola di maestro di sci cortinese, e con il resoconto dettagliato del pantagruelico cenone presso la casa del fidanzato della sorella dell’operatore di ripresa.

Il Garo accosta alla bocca la tazza di caffè (d’orzo) latte sorseggiandolo avidamente in maniera rumorosa. Pensa che anche questa volta, bontà sua, la tivvù ha reso edotti gli umili abbonati (e non) sul fatto che che sono già trascorsi 365 giorni dall’ultimo, analogo, mandorlato televisivo.